sabato 20 aprile 2013

15° FEFF - Omaggio a King Hu: "Raining in the Mountain"


Dopo la proiezione di questa mattina del primo film hongkonghese in concorso (il non troppo convincente Cold War di Longman Leung e Sunny Luk), la prima giornata del Far East Film Festival di Udine è proseguita all'insegna di Hong Kong, andando a scavare  nella tradizione cinematografica di questo paese con Raining in the Mountains (1979) del regista King Hu, al quale il festival dedica quest'anno una retrospettiva.

Un'immersione nella classicità del cinema asiatico potremmo dire. Un wuxia poco incentrato sulla ricerca formale e più attento a innestare nelle maglie di una struttura narrativa lineare elementi scenografici e coreografici che disseminano lungo il percorso le tracce della tradizione.
Il film, ambientato in un monastero buddista all'epoca della dinastia Ming, scorre sui binari di due linee narrative principali. Da una parte la vicenda della trasmissione del potere: il vecchio abate convoca presso di sè tre laici perché lo aiutino nella scelta del suo successore, che ricadrà su Hui Ming, un uomo  ingiustamente accusato di furto, il quale ha riscattato la propria libertà votandosi alla vita monastica. La seconda riguarda invece i tentativi di furto del prezioso Rotolo di Tripitaka (una preziosa scrittura buddista custodita nella biblioteca del monastero), perpetrati a più riprese da alcuni degli ospiti del vecchio abate.

Al di là delle vicende narrative che, come detto, procedono all'insegna di una linearità che non consente al film di trovare il proprio punto di forza nel racconto, più interessante sembra essere il discorso "politico" ad esse sotteso. King Hu sembra infatti trovare nello spazio ristretto del monastero la possibilità di costruire un personale discorso sul potere che, nonostante l'esistenza di una struttura fortemente gerarchizzata, riesce a trovare nella saggezza una possibile arma di sovversione finalizzata al  pieno raggiungimento della giustizia. Ciò appare evidente nel riscatto di Hui Ming, che riesce a dimostrare la propria innocenza anche di fronte alle accuse di un tenente intenzionato - in realtà - ad appropriarsi del Rotolo di Tripitaka, ed emerge con forza ancora maggiore nel finale, all'interno del quale è racchiusa - in una forma anche troppo didascalica - la morale del film. Hui Ming, divenuto ormai il nuovo abate, sceglie di bruciare il preziosissimo Rotolo, causa di tanta discordia, dimostrando con questo gesto che il vero valore non risiede nella materialità (replicabile e replicata) dell'oggetto in sè, ma nel significato dei suoi contenuti, che la tradizione è in grado di conservare anche in absentia.

King Hu lascia partire in sordina il suo film, rivelando poi una notevole abilità nella gestione del ritmo. Se la prima parte di Raining in the Mountain sembra più attenta alla descrizione del rituale, alla gestualità lenta e calibrata dei personaggi, nella seconda parte assistiamo a un'accelerazione che "alleggerisce" il film su due livelli distinti: quello verbale, attraverso una crescente (seppur sottile) ironia che si insinua nei dialoghi, e quello dell'azione, che nel finale diviene assolutamente predominante. Si pensi, per esempio, alla staffetta tra i ladri che culmina nell'uccisione del tenente e dell'aiutante di Hui Wen. Un momento spiazzante, inatteso, non prevedibile all'interno del clima "idilliaco" in cui lo spettatore è stato immerso fin lì. Un improvviso debito pagato dal film alla "realtà", quasi a voler dire che anche qui si combatte, si sanguina... si muore.
Ed è proprio in questo momento, peraltro, che sembra palesarsi la possibilità di porre questo film - come altri di King Hu - alla base del moderno wuxia, che ha guadagnato ormai da diversi anni l'apprezzamento del pubblico occidentale (da La tigre e il dragone a Hero, passando per La foresta dei pugnali volanti, solo per citare qualche titolo più noto).

Non mancano dunque gli elementi per ritenere degna di interesse questa rassegna proposta dal Far East Film Festival. Un salto nel passato che di tanto in tanto si interporrà all'interno del flusso della produzione asiatica più recente, e che ci consentirà forse di stabilire di volta in volta un inaspettato, fruttuoso e anacronistico dialogo tra le opere.


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