martedì 27 novembre 2012

IN SALA - "Dracula 3D" di Dario Argento



La prima domanda che sorge spontanea dopo aver visto il Dracula 3D firmato da Dario Argento è: perché? Perché scegliere di portare sullo schermo (ancora una volta) il vampiro più celebre della storia del cinema (oltre che della storia della letteratura) se tale scelta non è supportata da una personale visione di questa emblematica figura? Perché, dopo Murnau, Browning, Fisher, Herzog e Coppola, voler tornare sulle tracce del romanzo di Bram Stoker per tirarne fuori un film assolutamente piatto, senza alcuna profondità, tanto da rendere quasi ossimorico l'utilizzo del 3D?
Andiamo con ordine...

Assenza di una "visione personale" dicevamo. Teoricamente potrebbe anche starci, dal momento che stiamo parlando di un regista che ha sempre ribadito una concezione "artigianale" del cinema, distante da un certo "esibizionismo artistico/autoriale". Questo basterebbe a giustificare quella che sembra palesemente essere l'idea di fondo di questa ennesima trasposizione: non portare sullo schermo una propria "lettura" del romanzo di partenza, ma piuttosto scarnificare il racconto per trasformare i personaggi in "animali da cinema", assoggettati soltanto alle regole del genere (horror, ovviamente).
E proprio questo approccio avvicina molto l'operazione di Argento a quella intrapresa dalla casa di produzione inglese Hammer negli anni '50 con Dracula il vampiro, firmato da Terence Fisher. 
Ma il problema nasce proprio qui: se a giustificare gli intenti della Hammer c'era la possibilità - e quasi la necessità - di esplicitare sul piano visivo alcuni elementi che fino a quel momento non potevano essere esplicitati (la violenza e l'erotismo su tutti), oggi Argento - a più di cinquant'anni di distanza - non può pensare di "colpire" lo spettatore del 2012 con le stesse armi utilizzate da Fisher. I suoi colpi vanno a vuoto e suscitano la risata più che lo spavento. La noia più che il terrore.

Ma c'è dell'altro: il film di Argento sembra assolutamente debole anche a prescindere dal confronto con le precedenti versioni cinematografiche del Dracula. L'interpretazione degli attori è assolutamente imbarazzante: Asia Argento dà forse il peggio di sé, spingendo lo spettatore per tutta la prima parte del film ad attendere con ansia il momento della sua dipartita, nella speranza (vana, come da copione) che ella non sia in alcun modo riportata in vita o che, quanto meno, torni al mondo in versione muta; Unax Ugalde a tratti sembra intenzionato a portare sullo schermo quasi una parodia di Jonathan Harker; Thomas Kretschmann, infine, è assolutamente privo di quella sorta di magnetismo che, da sempre, ha caratterizzato tutti gli interpreti che hanno vestito i panni del conte transilvano, da Bela Lugosi a Gary Oldman.
Per non parlare poi di alcuni "effetti" che gettano completamente il film nel ridicolo. Uno su tutti, la trasformazione di Dracula in una mantide religiosa versione Godzilla, meno credibile degli alieni del film Allarme dallo spazio di Koji Shima del 1956 (vedere per credere!).


Infine veniamo all'utilizzo del 3D, cioè a quello che poteva rappresentare l'unico vero elemento di novità, capace da solo di giustificare la scelta di Argento. E bene, una volta di più abbiamo la piena conferma che la tecnologia stereoscopica se non "necessaria", se utilizzata cioè come un qualunque "elemento aggiuntivo" al film, finisce per non aggiungere proprio nulla. Una sola inquadratura è degna di nota: la soggettiva impossibile dall'interno della tomba di Tania (Miriam Giovannelli) che si avvale in maniera efficace della "reale" profondità di campo che caratterizza l'immagine in 3D. Fatta questa eccezione, non c'è traccia di un utilizzo specifico e indispensabile della stereoscopia (utilizzo del quale sembrano aver dato finora prova soltanto Wim Wenders con Pina e, ancor più, Werner Herzog con Cave of Forgotten Dreams, due film che trovano il loro stesso senso, il loro "diritto di esistenza", proprio nell'utilizzo del 3D).

In conclusione l'accostamento viene fin troppo facile: Dario Argento dimostra di non essere assolutamente un Nosferatu del cinema, e anzi rivela come non mai in questo film quanto la sua poetica, il suo stile e il suo immaginario siano logorati dagli evidentissimi segni del tempo.
Sarebbe bello poter affermare il contrario e andare controcorrente. Il sogno di ogni critico è quello di poter sovvertire col proprio giudizio gli impietosi pronostici che accompagnano la vigilia di un'uscita in sala. Ma questo film non me ne concede davvero la possibilità.
Non si tratta di un "film artigianale", non si tratta neppure di un film che programmaticamente irride alle visioni autoriali. Si tratta molto più semplicemente di un brutto, bruttissimo film. E negarlo significherebbe andare contro l'evidenza.


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